Come affrontare la febbre nei bambini?

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Per far fronte a un rialzo febbrile è necessario mantenere la calma e considerarlo un fatto comune, nella prima infanzia, periodo in cui si sconta la relativa immaturità del sistema immunitario.

I rialzi febbrili dei bambini possono generare ansia e preoccupazioni. Saper valutare le effettive condizioni del piccolo è una risorsa importante per sapere se (e quando) è necessaria una visita del medico.

Quando a un bambino cresce la febbre, scatta una sorta di allarme in tutta la famiglia. Nonostante le malattie di tipo virale (ma anche batterico), siano un’evenienza comune nell’età infantile, il rialzo di temperatura fa immediatamente sorgere una preoccupazione nelle mamme e nei papà. Ciò può diventare controproducente per la corretta gestione della febbre stessa e della malattia che l’ha generata. È allora bene tenere presenti dieci indicazioni generali che consentono di gestire la maggior parte degli episodi febbrili, senza dimenticare che, per ogni evenienza, il pediatra di libera scelta è la risorsa ideale per ottenere eventuali indicazioni terapeutiche specifiche.

1 - Bisogna ricordare che nel bambino si parla di febbre quando la temperatura supera i 37.5°C, (misurazione ascellare): temperature inferiori non sono da considerare febbre. Dato che la mano del genitore tende a “sopravvalutare” la temperatura del bambino, le sensazioni individuali non devono essere prese in considerazione per valutare le fluttuazioni febbrili. Lo strumento migliore (a casa propria) per la misurazione della febbre è il termometro digitale, posto correttamente nell’incavo ascellare. Gli altri termometri possono essere meno affidabili (quello timpanico deve essere usato solo da mano esperta dopo una valutazione dell’ampiezza del condotto uditivo) o di più difficile utilizzo (la misurazione orale o rettale è sconsigliata).

2 - Le misurazioni fondamentali della temperatura corporea sono due: quella del mattino (attorno alle ore 10.00) e quella della sera (attorno alle ore 18.00) quando, a causa di fluttuazioni ormonali, si hanno i picchi minimi e massimi di temperatura. Le altre misurazioni possono essere utili per valutare l’andamento della “curva” febbrile del bambino, ma non sono strettamente necessarie. È bene ricordare che la temperatura, di per sé, non è un indicatore della gravità della malattia perché infezioni virali abbastanza banali possono facilmente portare la temperatura a 39 gradi e oltre.

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3 - Il bambino che ha la febbre non va tenuto necessariamente coperto: al contrario deve avere la possibilità di disperdere il calore corporeo nell’ambiente, attraverso indumenti leggeri. Bisogna ricordare che nella prima infanzia i meccanismi di termoregolazione del bambino sono ancora poco efficaci e dunque il rialzo termico potrebbe essere favorito anche da un abbigliamento inadeguato.

4 - L’inappetenza, durante una malattia febbrile, è normale e non deve destare eccessiva preoccupazione. È invece molto importante assicurare al bambino una adeguata idratazione aggiungendo 500 ml di liquidi al giorno, nei bambini fino a 2 anni di età. Dopo i due anni si può arrivare fino a 1000 ml/die di liquidi, che possono essere suddivisi tra acqua, tisane, succhi di frutta.

5 - I bambini che hanno la febbre non vanno tenuti obbligatoriamente a letto. Se lo desiderano possono alzarsi, giocare, stare sul divano, leggere un libro, disegnare… Insomma: la malattia non deve essere vissuta come un evento traumatico dal bambino stesso, per non alimentare in lui il timore della febbre.

6 - La febbre di per sé non dovrebbe essere considerata un indicatore della gravità della malattia. L’evidenza clinica insegna come ci siano malattie virali che portano a notevoli rialzi di temperatura, pur essendo ad andamento benigno ed autolimitante, così come ci sono patologie di origine batterica, che necessitano di terapie mirate, che provocano rialzi febbrili scarsi o comunque di lieve entità. Sono le condizioni generali del bambino il vero indicatore. Quindi l’attenzione deve spostarsi su malessere generale, eventuali difficoltà respiratorie, rigidità addominali o nucali, vitalità complessiva, valutazione delle eventuali secrezioni.

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7 - Dato che la febbre di per sé non è un criterio valido per stabilire l’effettiva gravità di una malattia, è bene tenere a mente che in caso di rialzo di temperatura il bambino va fatto visitare immediatamente se al di sotto dei tre mesi di età. Tra i tre mesi e i 3 anni una valutazione medica è utile quando la febbre supera i 39°C (misurazione ascellare), specie in assenza di tosse, raffreddore o altri sintomi di chiara interpretazione. Una febbre che supera i 5 giorni di durata va sempre fatta valutare al curante.

8 - Il sonno del bambino con febbre può essere notevolmente disturbato da fenomeni di paura o incubi. Si tratta di fenomeni transitori e benigni, che si verificano più di frequente nelle prime ore del mattino, e che vanno accolti con calma, senza cercare di destare il piccolo, che è inconsapevole di quanto accade. In genere tali fenomeni rientrano spontaneamente nel giro di qualche minuto (mezz’ora al massimo) e il sonno prosegue poi con meno difficoltà.

9 - In bambini geneticamente predisposti può accadere che il rialzo febbrile sia accompagnato da convulsioni. Anche in questo caso siamo di fronte a un fenomeno benigno, che si esaurisce in pochi minuti. Le convulsioni non hanno una relazione diretta con l’incremento della temperatura o i picchi febbrili, pertanto una strategia preventiva farmacologica non è attuabile.

10 - È necessario considerare un periodo di convalescenza adeguato come parte integrante della malattia e non come a un lusso sacrificabile. Serve, questo periodo, per ricostituire le difese immunitarie e superare il momento di fragilità, che rende possibili infezioni opportunistiche (di tipo virale o batterico) o ricadute della malattia originaria. In genere la lunghezza della convalescenza dovrebbe essere commisurata all’effettiva durata della malattia, quindi due o tre giorni per un raffreddore con febbre, fino a 5 giorni in caso di influenza o di infezione che ha richiesto il ricorso ad antibiotici.

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